Fedeli e ribelli. #brancars #agesci

Riflessioni del rover Gabbiano tenace , a conclusione  della route a Colico e Val Codera, sulle tracce delle Aquile Randagie. Chieti 2.

La strada del ribelle non è mai pianeggiante. Non è soffice manto erboso, non ci sono fiori e cielo sereno. Si incontrano rocce, massi, arbusti spinosi, vette da scalare, che sembri non arrivare mai; spesso l’acqua non c’è, e anche se ci fosse non sarebbe potabile. Conviene dunque chiedersi se valga la pena intraprenderla: sarò pronto fisicamente? Riuscirò a giungere a destinazione? Sarò un peso per i miei compagni di strada?  Decidi di partire, non sai perché: hai altro da fare, di strada ne hai fatta tanta, potrebbe bastarti. Sai di non essere preparato, però parti. Il ribelle non può stare fermo, non può lasciar fare agli altri e pretendere di raccogliere i frutti di una fatica non propria. Il ribelle parte e partecipa, altrimenti che parte a fare. Partecipando, il ribelle vive: vive delle proprie esperienze, e vivendo incontra. Luoghi, persone, situazioni, a lui basta incontrare. Lungo la mia strada ho avuto l’occasione di entrare in contatto con luoghi e persone inconfondibili, indimenticabili, che hanno lasciato in me un’impronta che non potrà essere cancellata. Ho solcato i sentieri tracciati da ribelli autentici, coraggiosi, e spero che questo mio solco sia utile affinché la strada non torni ad essere piana, e a confondersi col suolo. Fare strada significa confrontarsi con se stessi, con le proprie possibilità e i propri limiti, avere il coraggio di pensare a chi e come si è, e in cosa si può migliorare.  Il ribelle, se agisce da solo, è stupido o pazzo. Quantomeno male organizzato. Quindi è necessario avere compagni di strada fidati, che si possano, a loro volta, fidare di lui. Ho avuto la fortuna, forse la grazia, di avere con me altri Rover e Scolte pronti indistintamente a tendermi la mano nei momenti difficili, a confortarmi con un semplice: “Buongiorno, come stai?”, a farmi sentire vicinanza, anche senza agire. Trovare sicurezza e conforto nell’altro è stata la spinta in più per giungere alla meta.  C’è un momento, però, in cui il ribelle si accorge che la fede negli altri non basta ad affrontare tutte le situazioni del quotidiano. È il momento più difficile della sua vita, quello in cui si scontra con la fede in Dio. Lo cerca nella Chiesa, negli amici, nella famiglia, sui libri, ma ciò nonostante non riesce ad averlo: non si può possedere l’infinito. Allora cerca di affidarsi, ma è complesso, vuole tutto per sé, non accetta di spartire il mondo con le altre persone nella consapevolezza che sia un dono ricevuto. La differenza tra la spiritualità e la fede sta proprio nel quotidiano, nell’indirizzo e nello stile verso i quali sono volte le azioni del ribelle. Ho avuto modo di sperimentare un diverso approccio alla fede, cercando di pormi domande e capendo che (forse) non a tutte posso rispondere. Ammetto che il mio cammino verso una totale consapevolezza di fede sia ancora molto lungo, ma credo che chi, alla mia età, non abbia alcuna domanda da porsi , dubbi su se stesso e su Dio, non sia un vero ateo o un vero credente, solo un po’ superficiale.  Tutto ciò che ho imparato e capito in questa route mi servirà a mettermi in gioco nel quotidiano, ad allenare me stesso, corpo e anima, a non rinunciare mai alla fatica, per affrontare al meglio tutti gli ostacoli che mi si porranno davanti, per quanto insormontabili all’apparenza. Spero di riuscire ad essere sempre utile alla mia comunità, a fare del mio meglio per affermare ciò a cui tengo e per cambiare quello che non mi va, per rendere il mondo un posto un po’ migliore di come l’ho trovato.  Gabbiano tenace

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